Volume VI/n.1/ Dicembre 2018

Editoriale

Editoriale

I - III

Articoli tradotti dal World Cultural Psychiatry Research Review

Sistema di classificazione dei disturbi mentali gravi nell’ayurveda

M. G. Weiss 1 - 21

L’Ayurveda è ampiamente riconosciuto come un sistema di medicina induista, ma rimangono poco conosciute le sue teorie sulla malattia mentale. In questo articolo si propone una review dei diversi concetti che orbitano intorno al tema della malattia mentale, facendo riferimento ai principi dell’Ayurveda, così come vengono presentati nella tradizione dei testi classici in sanscrito. Verranno analizzati i concetti, il loro contesto e la loro rilevanza per la psichiatria culturale. L’Ayurveda è un sistema medico con una struttura teorica elaborata, e classifica il disagio mentale attraverso dei principi locali di patofisiologia umorale, che si concentrano sul concetto di equilibrio del vāta (vento), pitta (bile) e kapha (flemma). La tradizione individua anche altre categorie di malattia mentale, relative ad un intervento degli spiriti (bhūta o graha), che si possono individuare in particolari tipi di personalità e modelli di comportamento. Un resoconto di come l’Ayurveda classifica i segni, i sintomi e le varie tipologie di grave malattia mentale (unmāda), fornisce una cornice che permette di esaminare l’influenza che hanno i concetti culturali oggi e consente di valutare i modelli culturali esplicativi della malattia psichiatrica. Questa operazione conoscitiva contribuisce a spiegare il modo in cui i pazienti e le persone della loro comunità, interpretano e rispondono alla malattia, incluse le famiglie, alcuni dei medici che li curano e degli operatori che costituiscono il contesto comunitario della malattia mentale. La recente attenzione per l’aspetto culturale come aspetto integrante della valutazione clinica (di fatto inserito nel DSM-5), sottolinea l’importanza della conoscenza da parte del medico delle tradizioni, che possono influenzare l’esperienza e il significato della malattia mentale, e le aspettative sul decorso. Rende i medici capaci di capire meglio ed aiutare i propri pazienti.

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La depressione tra le minoranze etniche. Questioni diagnostiche

K. Ahmed, D. Bhugra 22 - 41

La depressione è poco diagnosticata dall’assistenza medica primaria in tutto il mondo, soprattutto per quello che riguarda le minoranze etniche. Sul perché questo accada sono state fornite diverse spiegazioni, tra cui: le definizioni “occidentali” insoddisfacenti della depressione, i differenti modelli esplicativi tra paziente e dottore, le barriere linguistiche e i differenti modi in cui si presenta la malattia. Questo tipo di problemi si può presentare anche nei servizi dedicati specificamente alla salute mentale. Il problema centrale nella gestione della depressione nei gruppi di minoranza etnica rimane la richiesta d’aiuto da parte del paziente, in parte a causa dello stigma associato alla salute mentale (anche se questo sembra subire un cambiamento grazie all’acculturazione) e da credenze differenti sulla malattia. La depressione può presentarsi in ogni cultura con sintomi somatici e attraverso specifici idiomi culturali di espressione del malessere, in particolare nei gruppi di minoranza etnica. Il fatto che in certe culture si presentino frequentemente sintomi somatici potrebbe essere legato alle credenze tradizionali sulla malattia in quelle culture. L’utilizzo di interpreti aumenta la consapevolezza sulla depressione e la sensibilità ad un approccio clinico, che tra le altre strategie può aiutarci a diagnosticare la depressione ed incoraggiare la richiesta di cura.

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L’impatto della migrazione e dei processi di acculturazione sulle relazioni familiari

R. Al-Baldawi 42 - 70

Le famiglie di migranti che, sia volontariamente che non, sono emigrate in un nuovo paese, hanno dovuto affrontare molte sfide, come ad esempio adattarsi ad una nuova cultura, tradizioni, norme, strutture sociali e un intero nuovo modo di vivere. Le famiglie che emigrano in Svezia da paesi del Medio Oriente devono confrontarsi con delle strutture familiari e relazionali totalmente diverse da quelle dei loro paesi d’origine. Per adattarsi ed accettare queste nuovi tipi di strutture e relazioni, tutta la famiglia deve essere molto preparata e avere una grande flessibilità. Le famiglie con una rigida impostazione patriarcale affrontano una sfida e delle difficoltà maggiori nel processo adattivo e di integrazione. Questa situazione può incidere negativamente sullo stato psicosociale degli adulti e bambini, e causare molti problemi psicosociali e psicosomatici. Questo articolo descrive e illustra queste difficoltà e come queste possano incidere sulle relazioni esterne e interne delle famiglie immigrate. Il nostro interesse si focalizza principalmente sui cambiamenti nella struttura familiare e nella struttura familiare patriarcale in particolare. Questo articolo si basa su un’esperienza clinica approfondita e di lungo periodo nell’Orient Medical & Rehabilitation Centre a Stoccolma, Svezia. Queste famiglie sono state portate nel nostro centro per volere delle autorità svedesi operanti nel sociale, perché venissero aiutate con i loro conflitti e scontri. Abbiamo studiato e analizzato questi conflitti e lotte e vorremmo, attraverso questo articolo, riflettere sulle conseguenze psicosociali e somatiche dei loro processi di adattamento e acculturazione.

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Articoli originali

Le frontiere dei servizi di salute mentale: migrazioni e cambiamenti istituzionali nel contesto italiano

E. Facchi, G. Cardamone 71 - 82

Gli Autori, a partire da un forte collegamento con le vicende storiche e con le metodologie sperimentate dalla psichiatria italiana riformata, presentano una riflessione sulla clinica e i dispositivi in ambito transculturale. In particolare vengono affrontate le criticità che i servizi di salute mentale operanti nella comunità incontrano nella presa in carico e nella cura dei rifugiati e richiedenti asilo. La via maestra considerata è quella della salute mentale di comunità.

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L’operatore transculturale del terzo millennio: pensiero e formazione

A. Ancora 83 - 98

L’autore descrive un viaggio nella “testa” dell’operatore che viene sempre più a contatto con disagi in cui l’elemento culturale connota la relazione ed il tipo di problema presentato. “I nuovi utenti” come migranti, rifugiati, richiedenti asilo si trovano di fronte a “vecchi servizi” spesso in difficoltà a ridefinire domande multiproblematiche. L’operatore transculturale del terzo millennio è la nuova figura di cui deve disporre una società multiculturale in cui contesti di cura e sistemi culturali si intersecano a vicenda. Infine viene sottolineato come per l’operatore, spesso lasciato solo di fronte ad un “paziente complesso”, siano necessari specifici strumenti di pensiero/intervento transculturale che talvolta non è facile riscontrare in centri di formazione atti, talvolta, a costruire immagini di pazienti/utenti lontani dalla realtà.

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L’etnopsicofarmacologia. I nuovi paradigmi delle neuroscienze culturali nella pratica clinica

A. Bruschi, V. Infante, G. Albergo, C. Niolu 99 - 114

L’attenzione per la ricerca in ambito etnopsicofarmacologico sta gradualmente crescendo. Alle prime ricerche delle cosiddette psichiatrie esotiche (coloniali) e a quelle successive sui fenomeni migratori, da qualche decennio, si sono aggiunte le nuove ricerche che danno più ampia considerazione ai contesti di evoluzione multiculturale e di eterogeneità etnico-culturale. La rivisitazione dello stesso modello medico diatesi-stress e dei fattori psico-culturali, biologici e sociali legati all’etnia o all’area geografica di appartenenza del paziente, stanno rigenerando il campo delle neuroscienze culturali. In questo articolo viene esaminata la variabilità interetnica nell’efficacia e nella tollerabilità delle terapie psicofarmacologiche ed i fattori che contribuiscono a tali differenze.

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Lo spirito di ricerca e di revisione di Emil Kraepelin: dalla dementia praecox alla psichiatria comparata

V. Infante, G. Lombardozzi, D.M. Lavasani, C. Niolu 115 - 122

Emil Kraepelin fu un esponente di primo piano del mondo accademico tedesco tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900. Dotato di una fede ferma e decisa nella ricerca e di una straordinaria apertura mentale, in considerazione della sua singolare propensione alla comparazione e alla revisione è ritenuto il fondatore della moderna nosologia psichiatrica. Il paradigma scientifico kraepeliniano può essere sintetizzato in tre punti: 1) l’uso del metodo osservativo-descrittivo longitudinale diacronico, in altre parole solo l’osservazione della malattia dall’inizio alla fine, in tutte le sue caratteristiche, rende esplicite le reali peculiarità patognomoniche; 2) la dettagliata e originale descrizione dei quadri clinici e il ricorso ad una sistematica verifica epidemiologica; 3) l’inclinazione ad usare in modo metodico uno stile tassonomico di stampo linneano. Kraepelin è noto per aver definito la dementia praecox come entità morbosa distinta dalla psicosi maniaco-depressiva ed è considerato indiscusso pioniere della psichiatra transculturale: definì il campo di ricerca della psichiatria comparata ispirato dalle dalla psicologia sperimentale e multidisciplinare di Wundt e dalle osservazioni in ambito coloniale di van Brero. Era animato dal desiderio di condividere e di aggiornare le proprie ricerche confrontandole con quelle di colleghi di tutto il mondo. Per questo motivo si recò in India, nello Sri Lanka, in Indonesia e negli Stati Uniti, avendo modo di osservare la diffusione dei quadri clinici riscontrati nei pazienti europei e di esaminare i sistemi diagnostici di altre popolazioni, di descrivere come l’espressione psicopatologica dei disturbi psichiatrici fosse sensibilmente caratterizzata dal contesto etnico-culturale e di catalogare alcune sindromi psichiatriche cultures-bound non riscontrabili in altre culture, rilevando, infine, come talune patologie diffuse in occidente fossero del tutto assenti in altri contesti culturali.

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Review

Vissuti post-traumatici e traumi dell’immigrazione

S. Di Mario, A. Talamo 123 - 130

Questa breve review ha l’obiettivo di descrivere le caratteristiche psicopatologiche generali della salute mentale di gruppi di migranti connesse alle esperienze traumatiche durante la fase pre e post-migratoria. Differenze nell’età, nella salute fisica, nel modello culturale di riferimento, rispetto alla resilienza e allo status legale del migrante sembrano essere associate ad esiti di salute mentale. Questa associazione può essere riscontrata anche nel caso in cui vengono corrisposte o meno le aspettative pre-migratorie e i livelli di adattamento post post-migratori oppure se vi fosse un’ulteriore esposizione ad eventi traumatici. Ciò pone in rilievo l’importanza delle condizioni di vita relazionali e socio-politiche e delle ricadute sulla salute mentale di conseguenze psicopatologiche delle esperienze traumatiche del passato.

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Rifessioni transculturali sul sucide bombing

La dimensione storico-religiosa del suicide bombing palestinese

V. Infante, V. De Luca, D. Zupin, C. Niolu 131 - 138

A partire dal 1983 fino agli inizi del nuovo secolo il fenomeno degli attentatori-suicida palestinesi si è rinnovato senza tregua per poi terminare improvvisamente, non prima di ricomparire sotto altre forme in un spazio extra-territoriale e con caratteristiche ben più eclatanti. Gradualmente, nei popoli di fede islamica si sono andate affermando alcune radici semantiche che correlano questo agito a specifiche prescrizioni religiose, ingenerando un dibattito tutt’ora acceso nella nomenclatura islamista.

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Testimonianze dal campo

Un cappello per dormire. Un’esperienza professionale di aiuto di una donna immigrata nigeriana da parte di un servizio di assistenza sociale di un ospedale romano

F. Simoncelli 139 - 144

Lo spazio delle tesi

Infermieristica transculturale, flussi migratori e salute mentale: un’indagine descrittiva sulla formazione infermieristica

A. Albano 145 - 211


Iscriz. n° 12/2013 al Registro dei Giornali & Periodici del Tribunale di Terni, ISSN 2283-8961